Corriere della Sera

domenica, 23 gennaio, 2005

ARTE ARCHITETTURA

Pag. 032

 

«Caro Botta, il grattacielo è nella tradizione europea»

 

architettura sotto processo Il coraggio di innovare e il

peso del passato Scontro fra progettisti sulla metropoli

del futuro

Boeri Stefano

 

Dopo le accuse lanciate dallo svizzero Mario Botta, progettista della nuova Scala, al «gigantismo senz' anima» di architetti come Libeskind, Isozaki e Calatrava (pubblicate sul Corriere della Sera del 16 gennaio), intervengono in risposta il direttore di Domus Stefano Boeri e il professor Vittorio Gregotti «Bisogna fare attenzione al contesto, alla memoria storica, all' identità della città europea» La fa un po' facile Mario Botta nella sua requisitoria contro l' architettura «profana» dei grandi contenitori commerciali e dei grattacieli «senza anima» (il Corriere di domenica scorsa). Il richiamo alle tradizioni dell' architettura europea è del resto un ottimo argomento: lievemente nostalgico e rassicurante. Ma sarebbe più proficuo chiedersi cosa sia per davvero - oggi - la città europea. Cosa accomuni le centinaia di paesi, città, metropoli che stanno tra Lisbona e Varsavia, tra Helsinki e Catania. Una densità di città che non ha eguali al mondo e che a volte (mentre atterriamo nei grandi hub che costellano il continente) ci fa pensare che l' Europa stia per diventare un' unica immensa distesa urbana. Botta ha ragione a parlare di stratificazione: in Europa i nuovi insediamenti raramente nascono solo dalla «tabula rasa», dalla demolizione del passato. Le nostre città sono piene di conventi riusati come ospedali, templi diventati basiliche, arene trasformate in quartieri. Pezzi diversi di storia incastonati gli uni sugli altri convivono accanto a monumenti intatti e ad architetture appena costruite. Tutti immersi in una città che c' è già, che è ovunque, e che inevitabilmente li avvolge. Ma questa densità urbana ha anche un' altra caratteristica, che non dobbiamo dimenticare: da secoli le nostre città assorbono stili di vita e paesaggi nati in altre parti del mondo; basti pensare ai brani di architettura araba inglobati nelle città mediterranee. E c' è di più. Come accade per una lingua che assimila i termini di un vocabolario straniero, l' Europa da sempre plasma gli spazi che importa, fornisce loro un nuovo «suono», una nuova identità. È per questo che le nostre città - sempre più cosmopolite - non sono diventate un arcipelago di mondi isolati come è accaduto in molte metropoli nordamericane, ma restano un universo intrecciato, unico, anche se magari conflittuale. La città europea non è insomma una cartolina, un mondo di ricordi e nostalgie, ma un universo vivo, aperto. Che si nutre di nuove domande e soluzioni spaziali, pena la sua imbalsamazione. Contrapporre un passato aureo ad un presente mediocre è un trucco per non discutere delle responsabilità dell' architettura contemporanea. Tra le quali c' è anche quella di progettare centri commerciali e grattacieli, fitness center e villette, chiese e moschee; che fino a prova contraria sono parti della nostra vita. Ma per far questo non basta evocare termini generici come «contesto, memoria, tradizione». Meglio piuttosto usare un concetto dinamico di identità europea, che ci aiuti a capire come - volta per volta, senza preclusioni - affrontare il dialogo tra il nuovo e l' esistente. Del resto lo sappiamo: si possono progettare grattacieli sensibili al loro contesto e centri commerciali capaci di accogliere nuovi modi di abitare. Così come si può dare il colpo di grazia all' architettura di un antico e celeberrimo Teatro d' opera mentre ci si appella alla sua storia e al suo «contesto». All' architettura non servono anatemi generici, ma esperienze coraggiose e critiche puntuali.