PAESAGGI URBANI/PAESAGGI UMANI
Di Giovanna Franco Repellini
“In Milano si sfugge alla bellezza sigillata di altre città italiane,
che spesso è limite, prigione per chi vi dimora; alla perfezione conclusa
che talvolta condanna alla sterilità. Qui la bellezza è stimolo; qui
ritrovo la libertà di vivere, d’inventare, di inserire anche me stesso in
una vicenda incompiuta.”
Guido Piovene
Riflettiamo su una coppia estetica
formata dai termini contrapposti locale/internazionale. La modernità e la
nostra cultura amano l’originalità e la diversità. Non sempre, però, la
diversità è proficua e interessante, a volte non è nemmeno diversa, ma semplicemente
discordante. Il problema, in tutti i campi, è come fare per essere al
contempo originali ma interni al flusso della cultura mondiale e
addirittura promotori di tendenze. Ed ancora, come unire il nostro modo di
essere e di operare personale e storico (nazionale e individuale) con le
tecniche vincenti, ma spesso standardizzate, del neo movimento moderno.
Anche in questo campo dobbiamo trovare una terza via, un maggioritario
estetico, che prenda un po’ di qua e di là? Potremmo forse fare come i cinesi
che mettono i tetti a pagoda sul grattacieli. Non funziona, la ricetta non
esiste, occorre piuttosto puntare con coraggio su tutti i fronti, ovvero
valorizzare al massimo la cultura italiana e locale, battersi con forza per
ottenere livelli urbani e ambientali di qualità internazionale e infine
inventarsi fusioni, ibridazioni, meticciati e anche qualche cosa di
completamente nuovo, validamente nuovo. Non c’è una terza via, ma strade
intrecciate da percorrere contemporaneamente, all’interno di un progetto
generale che deve essere unitario ma tenere conto delle diverse discipline
dell’intervento urbano. Il problema, non nuovo, si ripresenta
continuamente, ad esempio si pone con i grattacieli della Fiera di Milano e
i progetti dell’area Garibaldi-Repubblica, che nei prossimi anni
impegneranno molto la nostra città. Progetti e interventi che provocano
estatica ammirazione da una parte (finalmente anche da noi la
modernità!Finalmente i grandi architetti!) e dall’altra repulsione (cosa
centrano con noi? Potrebbero essere a Shangai tali e quali; non c’è
personalità milanese). Il gioco delle parti si ripresenta in tutta la sua
complessità . Personalmente ritengo che il progetto vincitore della Fiera,
(architetti Daniel Libeskind, Arata Isozaki, Zaha Hadid e Pier Paolo
Maggiora) abbia delle architetture suggestive, talune affascinanti e
significative , come il museo del design e il grattacielo ritorto, ma
manchi il legame con la città e quindi il progetto urbanistico. Il parco è
poco vivibile, frammentato, nel complesso modesto. Gli edifici per
abitazione appaiono come i soliti mega condomini, con un po’ di alberelli
attorno, amati soprattutto dalle imprese di costruzione e dai gruppi
finanziari. La città compatta europea ha un tessuto stradale continuo che
favorisce le relazioni, il lavoro indipendente, le botteghe,
l’individualità, molto di più dell’insediamento a condomini isolati, tipico
delle aree di hinterland, ancora impostato sullo zoning, che determina un
maggiore isolamento sociale oltre a un aspetto che richiama le periferie,
anche se di lusso, tipo Milano 2. Sicuramente un buon principio operativo
si basa sul portare il centro nelle periferie e non le periferie nel
centro.
Altro problema: l’urbanistica partecipata che fine a fatto? Il rapporto con
la cittadinanza e le sue istituzioni sembra sempre dominato dal caso,
perché a volte è invocato, e guai se non c’è, altre volte scompare. In
realtà non c’è caos, ma vige una regola precisa: la partecipazione viene
utilizzata solo quando si tratta di opere di scarsa importanza che non
hanno alle spalle interessi economici forti, in caso contrario, ovvero
tanto più grossi sono i quantitativi di denaro in ballo tanto più tutto
l’iter democratico si volatilizza in nome dell’efficienza (di chi?).
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